Vi è mai capitato di sentire termini come Dry aging o Beef aging o Meat hanging? A molti moderni gastronomi piace l’English sounding, ma quando si parla di mangiare io preferisco ancora l’italiano, quindi: frollatura.
Eravate abituati a mangiare la carne praticamente ancora viva? Meglio che vi dedichiate al pesce, perché non c’è nulla di più errato, in particolare parlando di bovino.
Un breve inciso: dopo la macellazione iniziano quei fenomeni che trasformeranno il muscolo in carne. Si tratta di processi chimici legati al progressivo consumo del glicogeno muscolare che verrà convertito in acido lattico. La carne acidifica, si intenerisce, acquisisce il colore e la consistenza tipica. Per molti di voi, fine della storia, per altri, qui comincia il bello:
Nata probabilmente al fine di intenerire le coriacee masse muscolari delle vecchie razze da carne o degli animali anziani, quasi immangiabili appena macellate, poi appannaggio di poche fortunate isole della gastronomia, oggi questa tecnica di “impreziosimento” delle carni sta prendendo sempre più decisamente piede.
Proverò a spiegarvi il perché.
Vi siete mai chiesti quanto può essere conservata della carne fresca (ovvero della carne che non abbia subito alcun trattamento conservativo o aggiunta di ingredienti o additivi)? Insomma, è possibile definire per le carni una data di scadenza? Non è così semplice, ma chi pensa a un taglio di carne abbandonato al suo triste destino, forse apprenderà con sorpresa che la putrefazione è un evento tutt’altro che scontato.
Com’è possibile? Ebbene, nessuna magia: è la natura. La putrefazione è un processo di degradazione delle proteine ad opera di batteri alteranti, ma le masse muscolari sono normalmente sterili. La carica batterica è limitata alle superfici e in assenza di interventi drastici di lavorazione (disosso, affettatura, triturazione), dovrà farsi strada attraverso strati muscolari, fasci di connettivo e strutture ossee per penetrare le carni: un’impresa non facilissima. Per di più, questa flora batterica alterante ha una stringente esigenza di acqua per il suo metabolismo e in condizioni di umidità controllate la superficie delle carni tenderà rapidamente ad essiccare, formando una sorta di guscio protettivo.
Risultato? La carne di un animale correttamente allevato e macellato, ben gestita dopo la macellazione ha una durata indefinita e via via acquisterà delle caratteristiche peculiari: gli enzimi muscolari continueranno ad agire intenerendola, si libereranno dei composti aromatici, perderà acqua, concentrando i sapori; sulla superficie si svilupperanno delle muffe e alcune di esse (in particolare il genere Thamnidium) contribuiranno al processo di intenerimento con i loro enzimi.
Quando giungerà il momento, basterà liberare la carne dal suo guscio protettivo (e, diciamola tutta, di aspetto sgradevolissimo: scuro, duro, rancido e ammuffito) per rivelare uno smeraldo dall’odore che ricorda i funghi e dalla incredibile tenerezza.
Come dite? La cosa vi impressiona? Beh, vedetela semplicemente come un processo di stagionatura, non così dissimile dall’invecchiare un prosciutto crudo o una bresaola (queste le trovate più accettabili?)
Ovviamente la resa al termine di questo processo è davvero bassa, tra disidratazione e toelettatura, ma per un pasto soddisfacente è sufficiente una quantità di carne notevolmente ridotta rispetto alle normali porzioni.
Dulcis in fundo, questa pratica non aggiunge pericoli al consumo delle carni, che spesso vengono consumate anche crude e in ogni caso cotte al sangue.
[In foto, bistecca frollata per 135 giorni consumata with proud dal sottoscritto]
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