Le allergie sono spesso un rompicapo. Quelle alimentari non fanno eccezione. In questo post tratteremo di un particolare aspetto, ovvero quei casi in cui, ad un determinato allergene “esplicito” [A] se ne associa con una certa ripetitività, un secondo [B], non così evidente. Capita così che si sia convinti di essere allergici ad A quando invece la causa dei nostri guai è B.
Il primo caso è quello dei crostacei, uno degli alimenti contenenti allergeni più famosi. Ebbene, la pressoché totalità dei crostacei commercializzati sono (legalmente) trattati con delle sostanze, i solfiti, al fine di ritardare un fenomeno degradativo che li rende incommerciabili, caratterizzato da una pigmentazione scura che parte normalmente dal cefalotorace e si diffonde poi alle altre parti del corpo. L’utilizzo di tali sostanze DEVE essere dichiarato, tuttavia è abbastanza noto che spesso questo obbligo è disatteso. Ma i solfiti sono essi stessi degli allergeni! Accade dunque che molte persone sono convinte di essere allergiche ai crostacei e debbono rinunciarvi, quando invece è a questo additivo che sono sensibili.
Un altro caso, un po’ meno eclatante, ma solo perché ancora poco approfondito, riguarda i pesci. Anch’essi sono degli allergeni, ma capita spesso di sentire che una persona manifesti reazioni allergiche solo dopo il consumo di alcuni pesci e non di altri o che abbia rinunciato a tutti i pesci, nel dubbio, perché un paio di volte ha avuto dei malori dopo averne mangiato. Ebbene, anche in questo caso esiste una possibilità che l’allergia non sia nei confronti del pesce in sé, ma verso qualcosa che può essere presente in alcune specie e solo in alcune situazioni. Ci riferiamo a un parassita nematode (un verme), l’Anisakis, che infesta numerose specie e che è conosciuto come pericolo alimentare perché, assunto in vita, è in grado di perforare le mucose gastrica o intestinale, con gravi danni per i malcapitati che lo abbiano assunto. Per questa ragione il consumo di pesce crudo dovrebbe sempre essere preceduto da un trattamento con il freddo di intensità e durata sufficienti a inattivare le larve di Anisakis possibilmente presenti nel prodotto.
Quel che si è scoperto, però, è che Anisakis ha anche un ulteriore potere patogeno, derivante da alcuni allergeni in esso contenuto, in grado di stimolare reazioni allergiche anche gravi e sembra ormai appurato che, fra questi, ve ne siano anche in grado di agire se il parassita è morto o addirittura cotto.
Ecco allora che ci si può convincere che il problema sia il pesce, quando basterebbe orientarsi su specie dove la presenza di Anisakis può essere ragionevolmente esclusa.
Un terzo caso, sempre a proposito di pesci, riguarda le specie che, se non bene conservate, possono contenere elevati tenori di istamina (di questa particolare situazione scriveremo appositamente prima dell’arrivo dell’estate). Si tratta in questo caso di una forma assai peculiare, in cui la reazione “allergica” non è stimolata da un allergene, ma dall’assunzione di una sostanza, l’istamina appunto, che entra in un secondo momento nella catena di eventi che portano alla reazione anafilattica. In altre parole, in condizioni normali (semplificando molto), l’allergene stimola nel nostro corpo la produzione di istamina che causa gli effetti visibili della reazione allergica, ma se l’istamina viene assunta direttamente, allora non è necessario l’allergene per scatenare la reazione allergica. Questo meccanismo può far sì che chiunque, anche soggetti non allergici (o magari allergici ad altre sostanze), manifestino i sintomi di una reazione allergica dopo l’assunzione di alcune specie di pesce (sgombri, tonni, acciughe), convincendosi di essere allergici al pesce.
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